
Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di poter gioire per la nascita di figli di alcuni amici e parenti. La loro vista mi riempie gli occhi ed il cuore di felicità. Stanotte, ammirando il volto sereno di una splendida bimba, mi veniva alla mente un dialogo avuto qualche mese fa con una mia carissima amica e sua madre. In quella circostanza, analizzando l’evolversi del rapporto genitore/figlio, soprattutto in relazione alla figura genitoriale, mi veniva da chiedermi e da chiedere: quand’è che un genitore smette di essere il tuo primo tifoso, il tuo più grande motivatore, colui che ti spinge a superare i tuoi limiti e le tue difficoltà, la figura autorevole che ti è vicino e ti aiuta ed esorta ad affrontare le tue paure, l’amico che ti incoraggia a rialzarti dopo ogni caduta ed a riprovarci fin quando non ci sarai riuscito? Quand’è che invece si trasforma in colui che ti tarpa le ali, ti spinge a volare basso, a non sognare ad occhi aperti, a rimanere coi piedi per terra, a guardare in faccia la realtà, a non osare per non rischiare di rimanere deluso?
Non so quanti di voi hanno avuto l’immensa gioia di essere genitori. Ma sicuramente tutti o quasi avete avuto l’opportunità di veder crescere un bimbo. Voglio rivisitare con voi alcuni episodi della vita di ognuno di essi.
Immaginate quando comincia a pronunciare le prime sillabe e la mamma lo invita a ripetere la frase “Ti voglio bene”. Sentiremo probabilmente un suono tipo: “i-oo-eee”. E all’ascolto di questo assurdo siamo tutti felicissimi: sorrisi, pizzicotti sulle guance, capelli scompigliati, applausi, “che bravo”, “che bello”, etc… Nessuno che a fronte di questa infelice composizione della frase dica: “non è cosa per te, meglio che non parli più”.
Pensate a quando comincia a gattonare: quante volte è venuto meno l’appoggio sulle manine e l’avete visto crollare a terra. E lì subito a consolare, a mettervi carponi, a rotolare per terra, a giocare, a ridere e scherzare. Nessuno ipotizza di dire: “Se ci riprovi rischi di farti male. Lascia stare”.
Poi arriva il momento di compiere i primi passi. E sentite la sua paura a lasciare la vostra mano, l’appiglio sicuro. Sentite il tremore. Ma il vostro ruolo in quel momento è quello di incoraggiare. Gli dite di fidarsi, di lasciarsi andare; tanto ci siete voi in ogni momento pronti ad aiutarlo ed a sorreggerlo. Nessuno che dica: “ se questa cosa ti fa paura non affrontarla”.
Poi arriva la scuola, il distacco. E lo mandiamo ad affrontare le prime esperienze “da solo” anche controvoglia, anche piangente. Arrivano le prime difficoltà: quante volte torna a casa sconsolato dicendo che, ad esempio, non riuscirà mai ad imparare le tabelline o a memorizzare la poesia di Natale o per la festa della mamma. E noi a rassicurare ed a dire che se solo si impegna può riuscire a fare qualunque cosa.
E gli chiediamo dei suoi sogni, e per quanto ci sembrino improbabili siamo lì a progettare il più bel futuro che si possa desiderare…
Poi i nostri figli crescono. Diventano adulti. Cambiano. E con essi cambiamo noi ed il nostro atteggiamento. Se vogliono cominciare una nuova avventura lavorativa o una nuova esperienza di vita diciamo loro di stare attenti, gli ricordiamo che chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova (ascolta la saggezza di chi ha più anni). Se falliscono in un tentativo proviamo a farli desistere dal riprovarci, che alla prossima potrebbe addirittura andare peggio; se vogliono assumersi rischi li richiamiamo a rimanere coi piedi ben piantati per terra; se tornano a sognare li invitiamo a non vivere con la testa nelle nuvole, gli diciamo di crescere e di non fare i bambini.
Quand’è che il nostro ruolo di genitori è cambiato? In quale momento della loro e della nostra vita smettiamo di spingerli in avanti e cominciamo a doverli frenare?
Mi si dirà che è nell’ordine naturale delle cose che il bambino debba crescere, imparare a camminare, a parlare, a socializzare, a studiare etc… E quindi è normale che io genitore debba accompagnare mio figlio lungo questo naturale cammino.
Ma non è forse altrettanto naturale per l’uomo provare ad evolversi, a crescere, ad andare avanti, a sognare? Se ciò non fosse staremmo ancora nelle grotte con la clava in mano e probabilmente anche senza fuoco.
Il mondo lo hanno cambiato coloro che non si sono rassegnati a quello che era, che hanno sognato di poter cambiare, che non si sono mai arresi di fronte alle difficoltà. I folli, i sognatori, quelli fuori dal coro.
Io voglio che i miei figli abbiano il coraggio di provare a cambiare quantomeno il “loro” mondo; che guardino al futuro proprio e dei loro figli con ottimismo; che abbiano dei sogni e mi chiedano di aiutarli a realizzarli sicuri di poter trovare in me un appoggio; che continuino ad insistere di fronte alle difficoltà; che non si accontentino di quello che il mondo offre ma siano loro ad offrire al mondo la certezza di poter migliorare giorno dopo giorno.
Non so se alla fine riusciranno a ottenere dalla vita tutto quello che vogliono… ci proveremo… insieme… ma sicuramente avranno vissuto al meglio e pienamente la loro vita. E questo è quello che io, da genitore, sogno per loro.
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